LA PERLA E LA TARTARUGA

PREFAZIONE

La profonda originalità della presente opera di Renzo Rocca e Giorgio Stendoro non consta solo del resoconto di un complesso percorso totalmente nuovo di guarigione di un paziente, Sandro, e dell’acuta percezione e sensibilità del suo psicoterapeuta.

Nella logica della metodologia dell’incontro «come una risultante dell’interazione triadica tra paziente, psicoterapeuta e l’oggetto narrazione-comportamento-detto», il libro è pure un fluido dialogo di nessi psicologici a due voci. Un viaggio nell’oscurità della psiche, nella memoria e nell’incontro di entrambi esposto in una narrazione nella quale si mescolano passato, presente e accenni futuri che riflettono, nella «quiete piena di parole non dette», interrogativi, censure, nostalgie e la continua presa di coscienza. La perla e la tartaruga si può altresì leggere come un romanzo. La divisione in tre capitoli facilita il lettore nell’orientarsi all’interno della materia trattata, individuando le tre fasi (disagio-malattia; punto culminante; guarigione) dell’itinerario interiore di Sandro. Ricorrenti sono i rimandi – del paziente, così come dello psicoterapeuta – al paesaggio (ad esempio, quello milanese), alle atmosfere interiori (tese oppure delicate e luminose), alle situazioni (non sempre facili da interpretare), ai bozzetti famigliari (amari o divertenti), alle vicende (quotidiane, banali o significative, emozionanti), agli episodi del passato (a volte sembra di leggere rievocazioni proustiane). Tutti questi elementi rendono il libro un’opera anche narrativa. Del resto, Rocca e Stendoro sono autori, oltre che di decine di opere di psicoterapia, pure di un riuscito romanzo, Una ferita aperta (Roma, Sovera, 2007).

La cornice che inquadra la storia di Sandro è inclinata sul versante della crisi depressiva, della violenta frattura traumatica del corpo, dell’equilibrio tra principio di realtà e principio del piacere, tra doveri professionali e desideri di dare un senso a ciò che il paziente vede, sente, tocca, nei «lati misteriosi della quotidianità». Ricchissimi i riferimenti non solo alla letteratura neuropsicodinamica, ma anche alla cultura, all’arte, alla musica, ai classici letterari e alla ricchezza poetica nella quale, chiunque sia il lettore di oggi, viene guidato per mano a entrare nel labirinto dell’asse depressione-salute. Spesso, attraverso l’uso delle citazioni, delle “sentenze” o degli aforismi dei grandi del passato, si aprono squarci di luce e di verità e si finisce per intrattenere una sorta di dialogo coi “classici”, col loro pensiero sempre attuale. Il lettore può, così, ripercorrere autori e opere, riscoprendone significati e collegamenti forse prima neanche immaginati, compiendo a propria volta un personale cammino di rinnovato arricchimento personale e interiore.

La vastità culturale si accoppia all’estrema sensibilità, all’empatia, al calore umano, in un perenne dialogo con l’altro e con se stessi, al cui centro domina la consapevolezza della complessità e della fatica del vivere: una larghezza e un’apertura mentali pressoché infinite su tutto ciò che riguarda l’uomo e le sue fragilità unite alla altrettanto importante cognizione della gioia dell’esistenza, epifania che accompagna il processo di guarigione. Umanità degli psicoterapeuti che non si disgiunge mai, beninteso, dal rigore scientifico e professionale, dall’instancabile riflessione epistemologica, in una spirale di scoperta incessante e in divenire.

Pertanto, non è certo un caso che questo suggestivo percorso di verità costituito da materiale immaginativo, da sogni e da ininterrotte riflessioni appartenga a psicoterapeuti che, con angolazione non estranea nei confronti della loro maturità umana, cultura e ricerca, hanno sviluppato con straordinaria lucidità una strategia psicoterapeutica – sicuramente arricchita dall’inconscio creativo – che rifiuta la scienza psicologica assunta come dogma e depositaria della verità.

Un lavoro lungo, faticoso, sostanziato di amore, che permette al paziente di risalire da un territorio di buio, deriva, sofferenza e terrore, con una macchia oscura che contamina la psiche e il soma, causa di ombre irregolari nell’esistenza, alla riscoperta della musica della vita e delle sue dilatazioni irrefrenabili, delle sue trame brulicanti quanto inaspettate, imprevedibili quanto inebrianti.

E, a un certo punto, il lettore scoprirà perché il volume si intitola La perla e la tartaruga: due simboli molto “forti” e preziosi, che risultano fondamentali per la psiche del “personaggio-attore” principale del libro e dai quali giustamente è scaturito il suggestivo titolo della presente opera.


Edoardo Giusti*

* Fondatore e Presidente dell’ASPIC, è coordinatore del Gruppo ASPIC a livello nazionale.
È direttore della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Pluralistica Integrata e professore a contratto presso la Scuola di Specializzazione in Psicologia Clinica dell’Università di Padova

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