LA MIA PSICOSI… SCONFITTA

I disturbi relativi alla salute mentale rivestono in tutti i Paesi industrializzati un’importanza crescente sia perché il numero dei soggetti colpiti è in costante aumento sia perché determinano un elevato carico di disabilità e di costi economici e sociali che pesano sui pazienti, sulle loro famiglie e sulla collettività.

I dati provenienti dalla letteratura scientifica internazionale, infatti, hanno evidenziato che nell’arco di un anno il 20% della popolazione adulta ha presentato uno o più disturbi mentali elencati nella Classificazione Internazionale delle Malattie dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

A volte si tratta di disturbi che seppur diffusi tra la popolazione, come l’ansia e la depressione lieve, presentano una durata e dei sintomi che non limitano in modo grave l’autosufficienza dei soggetti colpiti e la loro qualità di vita; altre, invece, come le psicosi, di cui gli autori di questo libro approfondiscono alcuni possibili approcci terapeutici, possono essere tanto gravi da pregiudicare per lungo tempo lo svolgimento di una vita normale e impegnare, conseguentemente, in modo massiccio, i servizi sanitari e sociali.

Il Ministero della Salute è molto attento al tema della salute mentale, anche dell’età evolutiva, tanto da averla inserita tra gli obiettivi prioritari del Piano Sanitario Nazionale 2003-2005.

Molte patologie dell’età adulta, infatti, come è stato documentato da numerosi studi, sono precedute da disturbi che compaiono in età evolutivo-adolescenziale. In particolare, l’8% dei bambini e degli adolescenti presenta forme di disagio che provocano disadattamento e difficoltà a stabilire relazioni interpersonali. In taluni casi i disagi vissuti dagli adolescenti sono tanto importanti da mettere a serio rischio la loro e l’altrui vita. Per questo L’Osservatorio nazionale per la salute mentale ha segnalato come pratica indispensabile lo screening in età evolutiva, da eseguirsi secondo specifici protocolli, per evidenziare precocemente i comportamenti che successivamente evolvono verso malattie mentali e che possono, invece, se scoperti tempestivamente, essere curati con farmaci e modalità lievi.

Il disagio psichico è la prima causa di delitti in famiglia ma l’esplosione della violenza non è mai improvvisa perché dietro c’è un carico importante di sofferenza che può essere intercettato e bloccato. Ecco perché è necessario creare reti di soccorso intorno alle famiglie che siano in grado di aiutarle a cogliere i primi segnali di disagio e a non farle sentire abbandonate. A tal fine sono fondamentali nuove forme di assistenza e prevenzione quali i Servizi di prossimità, strutture di consulenza e ascolto gestite da Associazioni di familiari di malati psichiatrici, volontari e Istituzioni. In pratica, vere e proprie “antenne” in grado di raccogliere e trasferire precocemente i problemi del territorio ai Dipartimenti di salute mentale.

La salute mentale va tutelata durante l’intero arco della vita. Per affrontare efficacemente le patologie che possono metterla in pericolo fondamentale importanza rivestono anche l’integrazione tra i servizi sociali e sanitari, con particolare riferimento agli interventi a favore dei soggetti maggiormente a rischio, e la promozione di una cultura della solidarietà e di non emarginazione nei confronti delle persone affette da disturbi mentali.

Non bisogna mai dimenticare che i malati devono essere sempre al centro del sistema e che il rispetto della vita e della persona umana costituiscono degli obiettivi irrinunciabili per una società civile. 

Italo Carta
Ordinario di Psichiatria – Università degli Studi di Milano Bicocca, Direttore Scuola di Specializzazione in Psichiatria – Università degli Studi di Milano Bicocca.

Il volume pubblicato, con i suoi contenuti si iscrive nel filone della narrativa scientifica, psicodinamica in particolare. I precedenti sono numerosi  alcuni decisamente illustri e costituiscono a buon titolo delle pietre miliari nella storia della psichiatria e della psicoanalisi. Ricordo tra i tanti contributi espressi in forma narrativo scientifica il “Diario di  una schizofrenica” di M. me Sécheaye e prima ancora l’autobiografia commentata e interpretata in chiave psicoanalitica da S. Freud del Presidente Schreber che ha fornito il primo modello interpretativo della schizofrenia paranoide e del pensiero paranoico in generale. Ma anche i famosi casi clinici di Freud (il caso di Dora, del piccolo Hans, dell’uomo dei topi e dell’uomo dei lupi) sono esempi straordinariamente significativi di letteratura narrativo scientifica il cui valore ermeneutico non ha cessato di essere attuale e comunque costituisce un punto di riferimento per ogni speculazione clinico interpretativa e per nuovi approcci conoscitivi alle nevrosi e alle psicosi. Più recenti, ma anch’essi datati, sono i resoconti affascinanti dei trattamenti messi in atto da John Rosen di soggetti affetti da psicosi acute la cui psicoterapia si avvaleva delle tecniche cosiddette di analisi diretta. Questi riferimenti alla letteratura psichiatrica e psicoanalitica in specie potrebbero estendersi ai contributi di Binswanger e alla narrazione dei vissuti, colti attraverso l’analisi dell’esistenza, di pazienti melanconici che avevano concluso la loro vita con il suicidio. Possiamo porci la domanda se il progresso delle conoscenze in ambito psichiatrico debba essere debitore della metodologia che sostiene gli studi di epidemiologia e quindi debba riconoscere al metodo statistico un valore determinante in senso scientifico per l’approfondimento e il progresso della psichiatria oppure se questo progresso debba essere riconosciuto come il prodotto di un metodo d’indagine di tipo cosiddetto idiografico contrapposto alla metodologia propria delle scienze cosiddette nomotetiche. Certamente gli autori hanno optato per un approccio di tipo idiografico e hanno ritenuto con questa scelta di fornire un valido contributo alla conoscenza del mondo interno di pazienti il cui pensiero era profondamente turbato da una ideazione paranoidea. Non voglio entrare nel merito del dibattito che anima la comunità scientifica a riguardo della contrapposizione tra scienze nomotetiche ed idiografiche anche se non posso sottacere il mio personale orientamento preferenziale verso i metodi idiografici. La giustificazione di tale orientamento è fondata dalla convinzione che l’oggetto specifico e formale della Psichiatria e, ovviamente, di ogni forma di indagine psicodinamica, è il mondo interno dei soggetti in terapia, la loro storia personale il “romanzo familiare” che ciascuno di essi ha costruito nella propria mente, in altri termini e sinteticamente, tutto ciò che fa di ogni singola persona un individuo unico e irripetibile anche se,  per alcuni versi, confrontabile con altri. Un confronto però che non ne annulla mai l’individualità e quindi che non lo appiattisce nella genericità dei dati in cui viene quantificata l’osservazione e i rilievi conclusivi di tanta letteratura psichiatrica. Per entrare nel merito particolare dei contenuti del volume l’affascinante storia che in esso viene raccontata di una psicosi paranoidea e del lungo trattamento condotto con la metodologia della Procedura Immaginativa suscita nel lettore animato da senso critico una serie di interrogativi che concernono aspetti di natura metapsicologica e di natura strettamente tecnica. Ci sono nel testo dei riferimenti che non lasciano dubbi sull’impianto teorico psicodinamico della cura a cui si è sottoposto il paziente protagonista della lunga vicenda di cui viene fatta ampia e documentatissima trattazione. Potremmo dire che la teoria che sottende e giustifica gli atti terapeutici non è rigidamente omogenea e si intrecciano rinvii a posizioni classicamente e tradizionalmente freudiane con elaborazioni e conquiste della ricerca psicodinamica ad opera delle scuole inglesi e delle scuole nordamericane. Il pensiero della Klein, di Bion così come quello di Kout, di Kernberg compare frequentemente nelle considerazioni e nelle riflessioni degli autori, negli appunti che essi fanno in forma di commento di ciò che accade nel “qui ed ora” delle sedute che si succedono nel setting terapeutico. Gli autori utilizzano il pensiero di alcuni psicanalisti come strumenti che di volta in volta sono utili e funzionali alla comprensione di quel che accade nella reazione terapeutica a dimostrazione che molta teoria, e tecniche che da essa derivano sono utilizzabili separantamente in situazioni particolari per dare, sempre parzialmente, ragione di eventi psichici  animati da un dinamismo per il quale rigide strettoie dogmaticamente teoriche sono decisamente abiti molto stretti. Possiamo dire però che tutto lo sviluppo del processo terapeutico definibile, conformemente ad una visione che sottolinea l’importanza delle teoria della tecnica, come l’evoluzione della storia del movimento transferale e del movimento controtransferale degli attori protagonisti del processo stesso, è caratterizzata da  una invariante di natura squisitamente tecnica: l’uso della Procedura Immaginativa. Non c’è dubbio, considerando gli eccellenti risultati clinici conseguenti all’applicazione di tale tecnica che questa, nel caso di cui viene raccontata la storia, abbia meritato il giudizio di piena validazione. Questo non toglie che rimangano aperti i quesiti  concernenti l’estensibilità di tale tecnica ad altri casi di psicosi. Questo è un dubbio giustificato e non sostenuto beninteso, almeno per quel che mi riguarda, da una posizione pregiudiziale rispetto alla tecnica utilizzata. E’ auspicabile che l’utilizzo di questa tecnica in casi di psicosi sia replicata al fine di poter confrontare situazioni psicopatologiche diverse e soprattutto contesti relazionali transfrerali-controtransferali altrettanto differenziati, in cui l’unica invariante sia costituita dalla tecnica.  Procedere in tal modo è conforme alla mentalità e al metodo scientifico. A questa mentalità e a questi metodi non si deve rinunciare nel timore, a mio giudizio infondato, di applicare metodi naturalistici allo studio e alla validazione di eventi di natura psicologico relazionale. E’ veramente degno di grande interesse il contributo fornito dagli autori di questo volume perché in esso si dispiega passo passo, seduta dopo seduta, sogno dopo sogno il percorso di una mente i cui contenuti scissi e proiettati restaurano la perduta integrazione e recuperano l’armonia dei loro rapporti interni. Facendo riferimento a quanto si è ricordato all’inizio, ossia agli esempi storici di letteratura narrativo scientifica, sorprende sempre constatare la ricchezza e la varietà degli strumenti di cui la mente si avvale  e dei territori  che attraversa per riconquistare e recuperare la normalità del funzionamento psichico. Indipendentemente da o meglio parallelamente al valore scientifico della storia che ci viene raccontata dagli autori si propone alla riflessione del lettore il problema della diversità dei contesti in cui le psicosi assumono le loro figure e la loro espressione e dei luoghi in cui dismettono tali figure assumendone altre armonicamente adeguate alla realtà.

Sono quelle sopra esposte poche e sempre scarne considerazioni sul tema della psicoterapia delle psicosi a cui chi ha qualche anno di pratica di clinica psichiatrica guarda come al più affascinante enigma della mente umana, una e forse la più drammatica espressione del mistero che sostanzia la condizione umana.

Paolo Pancheri
Ordinario di Psichiatria, La Sapienza – Università di Roma.

Il disagio e la sofferenza psichica, fino al disturbo diagnosticato, costituiscono una condizione, dai confini spesso drammatici, che può inscriversi nella vita di un individuo molto comunemente e con modalità non particolarmente complesse, che si muovono su percorsi aventi vettori opposti rispetto alle strade della salute, ma che si discostano, nell’immediato, in modo significativo dall’organizzazione di un funzionamento integrato. È possibile che la fragilità della stessa natura umana renda tutti vulnerabili e nessuno immune. I tassi di prevalenza life-time, relativi alla possibilità di ammalare di disturbi psichiatrici, stilati dall’OMS già richiamano ad un’attenzione sollecita, ma possiamo ritenere questi dati come sottostimati rispetto al comune riscontro di condizioni di dis-funzionamento e di dis-organizzazione della personalità che raramente arrivano all’attenzione, pur dovuta e auspicata, degli specialisti. Su queste premesse la ricerca di nuovi modelli e nuove strategie d’intervento non può che essere salutata come meritoria di attenzione e accolta con plauso. Renzo Rocca e Giorgio Stendoro con la tecnica della Procedura Immaginativa si muovono alla ricerca di una modalità terapeutica finalizzata al recupero di un’interezza e un’integrità della persona così gravemente infrante nelle crisi a sfondo psicotico, come accade a Mario.

Il Lavoro Immaginativo sembrerebbe consentire l’apertura di un varco nel sistema difensivo stratificato dalle esperienze patogene-tiche, liberando l’Io dalla morsa delle immagini negative introiettate, inglobate e intessute nella struttura stessa della personalità. Attraverso lo sfaldamento di queste organizzazioni difensive, eccessive e stratificate, il paziente può accedere ad un’immagine differente dell’oggetto, vissuto esclusivamente come, persecutore nella quale possano trovare una collocazione finalmente anche sentimenti di affetto e amore. Nell’evoluzione del percorso terapeutico la scelta degli Stimoli Immaginativi Iniziali richiesti dal terapeuta è guidata da premesse teoriche evocate dai contenuti espressi dal paziente. Successive le riflessioni del terapeuta, con un andamento punteggiato, puntualizzano e consentono il processo. I modelli teorici di riferimento, riaffiorano anche negli eventi che il paziente riproduce. Il processo doloroso fino al sacrificio che il paziente sperimenta nel ritorno alla vita normale (come ad esempio in Resnik 2001) si reifica nelle crisi che possono occorrere anche durante il percorso terapeutico. È verosimile che questa tecnica, nell’evocazione di atmosfere quasi pseudo-oniriche, consenta o faciliti come in un racconto in terza persona, di altro da sé, laddove l’immaginativo sostituisce e richiama il sostantivo, l’accesso al processo ri-costruttivo anche a quelle persone per le quali il riferimento diretto al sé soggettivo sia troppo appesantito, dall’eccessiva mancanza di persone affettive e capaci di una adeguata reveríe negli anni, e quindi insostenibile. Così un trauma del passato può essere rivissuto in una nuova scena evocata nel lavoro immaginativo. Quindi il terapeuta procede con la stimolazione immaginativa. La modalità del racconto delle associazioni ripetutamente proposte conferisce alle parole e al linguaggio non verbale un significato dinamico e curativo. La ri-collocazione spazio temporale, guidata attraverso la S.I.I. può consentire una ridefinizione del Sé. La terapia Immaginativa, come già la tecnica freudiana e degli epigoni, è finalizzata al recupero di un’unicità laddove l’esperienza penosa che agisce traumaticamente, mina l’integrità del Sé provocando scissioni e fratture. L’abbandono delle “illusioni” lascia spazio al recupero di un mondo emozionale, nuovo e autentico. Attraverso il lavoro della S.I.I. la T.I. consente il recupero della libido intesa come spinta vitale  e serbatoio, non più serrato, cui il soggetto può attingere per il ripristino di un funzionamento sociale e successivamente di un funzionamento armonioso delle differenti aree delle relazioni oggettuali. Le S.I.I.,  come scandagli lanciati nel profondo consentono l’accesso a sacche di materiale libidico annichilite dalle esperienze, aree dell’esistenza passata obnubilate dall’oblio, che il soggetto può svolgere nella produzione verbale. Le tappe si susseguono lungo un percorso che restituisce al paziente, partecipe attivo nell’opera di ristrutturazione e dello svolgimento progressivo bidirezionale, dall’esterno all’interno e dall’interno all’esterno, o alternato con sonde spinte nel profondo e recuperate oltre la superficie, la stima di sé e la possibilità di accedere a relazioni oggettuali intere e quindi a relazioni adulte, o sufficientemente adulte. Muovendosi dalle aree meno complesse, lavoro/società, alle aree più significative, il paziente può stabilire relazioni interpersonali e relazioni affettive più significative ed intime. Di capitolo in capitolo, di paragrafo in paragrafo, sapientemente scritti, il testo ripropone e descrive le tappe del percorso terapeutico, catturando l’interesse del lettore fino al compimento dei passaggi attesi. Lo stile, fruibile, consente una comprensione, sufficientemente agevole, della tecnica utilizzata ed una verifica della modalità attraverso le quali essa agisca nonché di risalire ai modelli teorici di riferimento. I paragrafi di stile narrativo arricchiscono il testo a complemento delle sezioni relative alla descrizione della metodologia e più squisitamente teorici.

Nicole Fabre
Professeur Centre Sévres (Paris, France).

Le livre de R. Rocca et G. Stendoro présente de manière précise et détaillée la cure de Mario, défini comme un cas de psychose paranoïde traité par « la technique de l’imaginaire ». Les praticiens français du rêve éveillé en psychanalyse reconnaîtront sous le vocable de « proceduraimmaginativa » une démarche qui leur est familière, celle du rêve éveillé en séance. On ne s’en étonnera pas : les auteurs de ce livre et les auteurs du GIREP (Groupe International de Rêve Eveillé en Psychanalyse) auquel est affilié en Italie l’Istituto di psicologia clinica rocca-stendoro puisent à la même source initiale, le rêve éveillé de Desoille. Un des grands intérêts du livre de R.R. et G.S. réside dans la relation intégrale des rêves éveillés de Mario, toujours suscités par la proposition du thérapeute et soutenus par sa parole. En intercalant le récit des séances, les auteurs font apparaître le pourquoi de la proposition qui est au départ de la P.I. (nous dirions en France du R.E.). On notera la très grande richesse des propositions de départ des P.I. qui témoignent de la créativité du thérapeute, du partage de l’imaginaire entre le patient et le thérapeute – reflet et produit du jeu transférentiel et contre transférentiel. Il est intéressant également de lire après chaque séance de P.I. « l’état d’âme » du patient tel qu’il l’exprime. Les détours de la cure, le passage par les hospitalisations, les phases délirantes, sont notés avec précision. L’acheminement vers le mieux être et la reconstruction de la vie du patient sont patents. Les références théoriques invoquées dans l’expression, soutenant la pensée, sont essentiellement empruntées à R. Desoille, G. Bachelard, M. Klein, S. Resnik. On regrettera que les liens ne soient pas faits avec les auteurs français ou argentins actuels, dans la mesure où tous appartiennent au même courant de pensée et de pratique.

Ce livre est une belle démonstration de la méthode de la P.I. faite dans un langage clair. D’une qualité didactique certaine, ce livre permet de plonger dans le déroulement de ce type de cure, avec Mario !

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