Silvio Stella
Docente di Psicologia Clinica con elementi di Psicoterapia individuale e di Psicologia Dinamica Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
Orientarsi tra i tanti e diversi indirizzi psicoterapeutici oggi esistenti è impresa tutt’ altro che facile, se non impossibile. Troppo lontane e differenti sono le premesse epistemologiche che reggono (quando reggono) l’ intervento applicativo. E’ sufficiente, a questo riguardo, leggere (o anche solamente consultare) la ricerca di S. Marhaba e M. Armezzani, “Quale psicoterapia?” (Liviana ed., Padova, 1998) oppure “Nel labirinto delle psicoterapie” (a cura di A. Rossati, C.S.T., Torino, 1985) per rendersi conto delle difficoltà cui va incontro il potenziale utente, e però anche un docente di Psicologia clinica (materia, come noto, attivata nei Corsi di Laurea in Medicina e in Psicologia) che si proponga di presentare, in modo corretto e obiettivo, i principali orientamenti psicoterapeutici. Queste difficoltà hanno alla loro base svariati motivi. Vorrei qui indicarne due. Il primo consiste nel fatto — ovvio ma non sempre adeguatamente soppesato — che ciascun studioso è fatalmente, necessariamente influenzato dalla formazione che ha cercato di costruirsi. Il secondo motivo risiede, secondo me, nella diffusa tendenza a fare capo all’ insegnamento di Freud, a doverne comunque tenere conto, salvo però, più spesso di quel che si creda, deformarne il pensiero o perché mal conosciuto (per esempio attraverso riassunti di riassunti) oppure per rivendicare una originalità tutta da dimostrare, una presunta o presuntuosa capacità di “andare oltre”. Per contro il panorama scientifico presenta validi tentativi di arricchire oppure di precisare, o anche di modificare, assunti effettivamente superati.
E’ in questa direzione che, per esempio, si è mosso con grande impegno G.S. Klein, “Teoria psicoanalitica”, Cortina, Milano, 1993 (ed. or. 1976). Va aggiunto che nella stessa direzione hanno lavorato tutti coloro la cui opera è lì a dimostrare che il movimento psicoanalitico non si è certo fermato a Freud. Stante questa premessa, come si colloca nel succitato panorama lo studio di Rocca e Stendoro su “Una psicosi sconfitta”. La mia opinione è che si tratti di un lavoro molto importante in quanto rendiconto dettagliato e completo del percorso psicoterapeutico di Mario, un paziente affetto da psicosi-paranoide. Penso anche che esso possa essere pienamente compreso solamente da chi ha avuto l’ opportunità di sperimentare da vicino, cioè in prima persona, la procedura immaginativa nota come Rêve-Eveillé. Nelle parole utilizzate dagli autori in altra occasione (“La Procedura Immaginativa: sviluppo di una radice di senso psicoanalitico”, Masson 1993), “il Rêve-Eveillé di Desoille è un metodo psicoanalitico e psicoterapeutico post-freudiano, impiegato in un rapporto duale analista-paziente, che ha come caratteristica peculiare l’ analisi della produzione e rappresentazione immaginativa, a forte carica creativa, riattivata “in una minima economia dell’attenzione”. Dunque Rocca e Stendoro si riconoscono nell’ opera che Robert Desoille iniziò nel 1930 e che si tradusse nell’ individuazione di una metodologia diretta (in un primo momento) a valorizzare l’ Immaginario quale “componente fisiologica della mente umana, funzionante in ogni momento dell’ esistenza”. Questa componente, nel pensiero dell’ inventore del Rêve-Eveillé, possederebbe un valore “catartico e terapeutico”. Rappresenterebbe allo stesso tempo una sorta di “linguaggio dell’ immaginazione” particolarmente fertile, cioè produttivo e creativo, nel caso in cui si riesca a lasciarlo liberamente fluire, senza porre eccessivi controlli. In ogni caso, il Rêve-Eveillé è, oltre a tante altre cose, un mezzo per aggirare tali blocchi.
E’ importante notare che, per rapporto all’Immaginario, il Rêve-Eveillé rappresenta lo “stato” che lo rispecchia. Convinzione di Rocca e Stendoro, nonché degli studiosi che si muovono all’ interno dell’ orientamento sul quale stiamo riflettendo, è che ciò che va evocato non debba essere solo il passato, ma anche quegli stati emozionali profondi definiti “l’aspetto trascendente”, spirituale, armonioso dell’ individuo, che è indispensabile non si cristallizzi nell’ angoscia. Da qui il valore appunto dell’ immaginario e l’ “incitamento al ritorno e al recupero delle immagini che hanno preceduto la parola” (M. Bondi e A. Passerini, conferenza tenuta all’ Università Cattolica, aprile 1996). Da qui anche l’ ipotesi che sia possibile (con la metodologia del Rêve-Eveillé) l’apprendimento di un codice linguistico dimenticato o mai imparato; da qui, ancora, l’ insistenza sulla natura esperienzale dell’ immaginario. Ancor più che un sogno “da sveglio” il Rêve-Eveillé è un sogno destato, che offre la possibilità, tra una seduta e l’ altra, di riflettere su un’ esperienza. Si tratta di un percorso, teorico e psicoterapeutico, che da Freud passa per Jung e Baudouin (ma anche per Binswanger e i “classici” della psicoanalisi, recenti e meno recenti) e perviene a Desoille e alle sue idee sul Rêve-Eveillé (R. Desoille “Teoria e pratica del sogno da svegli guidato”, Astrolabio, Roma, 1974). Il termine “Dirigé” è stato poi soppresso (1982) mentre è stato introdotto quello di “psicoanalisi” (cfr. Rocca e Stendoro, op. cit.). Venendo in specifico a “Una Psicosi Sconfitta”, il libro mostra come la tecnica consista nel proporre l’ immagine iniziale sulla base di ciò che il paziente ha, sino a quel momento, comunicato. Così, per esempio, il momento e il personaggio rappresentati nel Rêve-Eveillé N° 9 (“Una vecchia fotografia”) sono il pretesto per cercare di recuperare stati d’ animo e sentimenti del passato, mentre in altri Rêves-Eveillés, lo stimolo iconico di apertura fornisce l’ idea d’ uscita dal tunnel della psicosi attraverso la scoperta di una “casa” nuova (di un nuovo contenitore). Tempi e strumenti per avvicinare, affrontare ed elaborare determinati vissuti psichici sono, ovviamente, quelli del paziente. Così può accadere che uno stesso tema possa essere affrontato attraverso immagini diverse e a partire da vertici differenti. Anche se (ovviamente) è il terapeuta che sceglie l’ immagine iniziale, essa può essere generica e, in altre circostanze, integralmente rielaborata dall’ immaginario del paziente. Fusini Doddoli (“Affetti e Immagini”, Angeli, Milano 1987) ha sintetizzato la funzione del terapeuta, che consegue a questa “libertà” (relazionale) del paziente, nella metafora dell’ “artifex additus artifici”, intendendo il Rêve-Eveillé una produzione immaginativa cui il terapeuta dà un essenziale contributo.
Si delinea una prospettiva relazionale che permette di parlare di “spazio emotivo”, di “spazio fenomenologico” o, anche di “spazio emotivo potenziale ampliato”. Viene alla mente Winnicot, alla cui opera, per altro, gli autori fanno riferimento. Viene pure alla mente Bion e l’invito all’ analista di porsi, durante il lavoro analitico, sulla fila della griglia C (mito, sogno). La tecnica del Rêve-Eveillé, introducendo fin dall’ inizio uno stato ipnagogico vicino a quello del sogno, faciliterebbe l’ accesso a quelle aree conflittuali e deficitarie inconsce, incapsulate da consistenti e rigide difese. Detto con altre parole, la suddetta metodologia si presenta capace di agire a quei livelli, iconico-rappresentazionali, che, da un punto di vista evolutivo, sono ben presto abbandonati dall’ infante, salvo ripresentarsi in alcune gravi forme di psicosi, non ultima quella paranoide, oggetto dello studio di Rocca e Stendoro. L’ evoluzione clinica del caso presentato dagli autori mostra come, al recupero di questo specifico piano evolutivo, faccia da pendant, il faticoso riorganizzarsi della personalità. Emerge qui il problema di quelle psicopatologie per le quali la regressione non è indicata. Si tratta di un problema che gli autori hanno ben presente, tant’è che essi vi dedicano pagine del loro precedente lavoro (Rocca e Stendoro, La Procedura immaginativa”, cit.). Attenendomi al caso di Mario, se in alcuni Rêves-Eveillés (specie quelli iniziali), la tecnica in esame può apparire in difficoltà nel gestire la produzione immaginativa del paziente, successivamente si mostra efficace nei passaggi presentati lungo il “continuum” elementi inconsci-rappresentazione-elaborazione. Certo, rimane difficile distinguere quanto del successo con il paziente sia dovuto alla metodologia in oggetto e quanto all’ abilità dello psicoterapeuta nel fare evolvere la relazione, talvolta burrascosa, con il paziente. Ciò che in ogni caso emerge è l’ umanità di una persona che lentamente, e però via via più chiaramente, riesce a uscire dal buio della psicosi.
Anna Riva
Docente di Psicologia presso la Facoltà di Medicina Università La Sapienza di Roma
Nell’ introduzione al volume “Apprendere dall’ esperienza” (Armando, Roma, 1972) W.R. Bion dichiara: “il libro spiega inoltre perché, nonostante io abbia una esperienza da trasmettere, non sappia poi cosa fare per comunicarla agli altri. All’ inizio avevo pensato di dedicare ogni mio sforzo ad analizzare gli allievi e tuttora sono convinto che hanno ragione gli analisti che affermano che questo è l’ unico modo efficace di trasmettere come viene vissuta l’esperienza analitica — sennonché spendere tutte le proprie energie in quella attività sa troppo di culto esoterico.
Un ‘ obiezione che mi si può fare è che divulgare un libro come questo sia forse prematuro; io non lo credo: secondo me c’è la possibilità di dare almeno un’ idea al mondo che si viene a scoprire non appena ci si accinge a comprendere il nostro comprendere. Perciò il libro avrà raggiunto il suo scopo se chi lo avrà letto si sentirà invogliato a saperne di più”. E prosegue: “Quanto al come leggere, si dovrebbe farlo tutto d’ un fiato senza stare a fermarsi sui punti che a prima vista possono apparire oscuri: alcuni di questi non si potevano eliminare in quanto ero costretto a supporre in chi leggeva un minimo di dimestichezza col problema affrontato e contavo quindi sul fatto che le pagine successive dissipassero le nebulosità eventualmente insorte”, E’ un atteggiamento che emerge anche dalla lettura del presente volume, così denso di informazioni e di riflessioni critiche sulla descrizione di un “caso clinico”, inspirata più dalla motivazione a comunicare un’ esperienza che a “presentare” con obiettività le sequenze di una terapia, durata parecchio tempo, variegata di episodi drammatici, di resistenze psicotiche di alto livello, di lentissime riprese e della “costruzione” di un rapporto umano faticosissimo, ma grazie a dinamiche di controtransfert da parte dell’ analista, riuscita almeno in misura sufficiente a permettere il recupero della fiducia in sé e negli altri, nonché la possibilità di un adattamento positivo alla vita sociale, che, a distanza di alcuni anni, si può considerare “riuscito”. Un paziente, infatti, cui la realtà circostante non ha negato le più dure difficoltà ad inserirsi fin dal suo primo nascere. Venuto al mondo in circostanze drammatiche per la malattia, l’ agonia e la morte della madre, rimane — così egli riferisce — per una ventina di giorni “abbandonato” in ospedale e privo di quelle cure psicologiche che sono fondamentali per la costruzione dei primi rapporti oggettuali, anche se si presume che non gli siano mancate le attenzioni alla sua sopravvivenza ed alla sua crescita.
Accolto in famiglia poi, si trova letteralmente “diviso” fra le famiglie paterna e materna, con diversità di indirizzo affettivo, di relazione nelle cure, che impedisce l’ elaborazione di una percezione “unitaria” dei rapporti filiali. Non “nonne-madri” che generosamente suppliscono l’ assente, ma nonne forse troppo addolorate, che nella percezione del bambino non sanno essere amorevoli. Di qui la formazione di una identità negativa e della persistenza di quella “posizione schizoparanoide” che è stata descritta dalla Klein, nella sua elaborazione definitiva del 1946, (“Note su alcuni meccanismi schizoidi”), quando affermava: “nei primissimi stati mentali, l’ angoscia persecutoria va incontro a processi che minacciano (e determinano) una frammentazione della mente. La sua gravità influenza il progredire verso la posizione depressiva, perché l’ integrità della mente è severamente danneggiata. I processi di scissione conducono tipicamente alla proiezione di parti del Sé o dell’ Io (identificazione proiettiva) negli oggetti con l’ effetto di svuotare il Sé. Il Sé così svuotato incontrerà di conseguenza varie difficoltà per quanto concerne l’ introiezione e l’ identificazione introiettiva”. Leggendo — e spesso, rileggendo — gli sviluppi degli Stimoli Immaginativi Iniziali indotti per favorire l’ emergere dei contenuti immaginativi psicotici, si è colpiti dalla profondità dell’ angoscia che appare con il tessuto di sostegno della vita di Mario, nella continua affermazione di una mancata identità: “.. mi sento negativo in tutto…Ho paura e angoscia… sento come se ci fosse un pericolo in agguato…”. Percepisce il vuoto interno a sé e pensa di non riuscire simpatico a nessuno.
Gli sviluppi apportati da Bion alle formulazioni Kleiniane (1967) definiscono la funzione materna come “contenimento” e la madre come “contenitore”, in grado di comprendere tutte le angosce che il bambino proietta su di lei; essa risponde accettando queste angosce e facendo quanto è necessario per attenuarne la sofferenza. Tale funzione può essere vicariata da altre persone, dotate di analoga attitudine a comprendere ed è — o dovrebbe essere — specifica dello psicoterapeuta. Il contenitore non solo “accoglie”, ma aiuta ad elaborare, a superare, a procedere nello sviluppo psichico, favorendo il passaggio dalla posizione schizoparanoide alla posizione depressiva, aprendo le porte alla formazione del Sé ed ai successivi stadi evolutivi. La faticosa opera di aiuto prestata dagli autori di questo importante documento è descritta alternando resoconti delle elaborazioni dei Rêves-Eveillés, delle sedute di analisi della realtà e dei pochi sogni riferiti dal paziente; e non mancano drammatici riferimenti ai comportamenti dello stesso, con l’ aggiunta di informazioni sul movimento transferale e controtransferale che ha caratterizzato il lungo percorso della terapia. Una nota che colpisce è la grande sincerità ed umanità del terapeuta nel descrivere i suoi coinvolgimenti emotivi, di volta in volta accettati o controllati per salvare l’ autenticità del rapporto di recupero. Egli è impegnato ad essere un “contenitore”, con tutte le sfumature di comportamento che l’ evoluzione del paziente richiede. La motivazione alla pubblicazione, tuttavia, non è la fedele documentazione di un caso clinico complesso, ma la presentazione di assunzioni teoriche sulla tecnica del Rêve-Eveillé con valutazioni didattiche intese a fornire ai lettori una guida nell’ esercizio della professione, ispirata al metodo proposto da Robert Desoille.
La trattazione si sofferma, nei momenti di maggiore pregnanza per la comprensione delle problematiche del paziente, su “considerazioni didattiche” espresse o con l’ oggettività della trattazione teorica o con la soggettività della partecipazione empatica, guidata da una attenta sorveglianza nel contenimento dell’ emozione — spesso negativa — provocata dagli attacchi aggressivi del paziente, come pure dalla tenerezza affettuosa verso la debolezza del “bambino sofferente”, che chiedeva aiuto. Dei singoli Stimoli Immaginativi Iniziali per i Rêves-Eveillés viene trascritta fedelmente l’ elaborazione, rilevando le caratteristiche salienti dell’ immaginario, partendo inizialmente dal significato del contenuto, per poi passare alle considerazioni didattiche, schematizzate e graficamente rilevate, seguendo la metodologia descritta nel libro “La procedura immaginativa: sviluppo di una radice di senso psicoanalitico”, (Masson, Milano, 1993) degli stessi autori. Non direi che la lettura si può fare “tutta d’un fiato”, come direbbe Bion: è una assimilazione lenta, che richiede riflessione e che, tra l’ altro, stupisce per la ricchezza e la varietà di citazioni; queste prestano agli autori una semantica varia, precisa, appropriata con uno spaziare che va dagli antichi filosofi greci a cultori di tutte le scienze contemporanee. Come opera didascalica esige uno studio accurato e la ricostruzione tra intuitiva e razionale di osservazioni ispirate alle teorie psicoanalitiche, psicologiche, sociologiche, oltre che linguistiche. Lo studio del linguaggio fornisce schemi descrittivi dell’ organizzazione del pensiero, là dove esso risulta aver superato l’ aspetto confuso dalla preminenza paranoidea.
E’, quindi, un’ importante opera molto densa, tanto per la complessità della situazione psicotica di base, quanto per la metodologia della terapia e della presentazione didattica. Alla base, richiede un’ esperienza diretta del tipo di analisi presentata e la maturazione di una grande capacità d’ ascolto e di compressione, che ne fanno un intervento di grandissima umanità. Per chi non ha tale esperienza, l’ appassionata descrizione delle tappe percorse “insieme” da Mario ed Enzo (paziente e terapeuta) può affascinare lo psicologo clinico anche di altra estrazione psicoanalitica, uso a metodi e tecniche diverse, per la ricchezza di informazioni e per la schiettezza della trasmissione del messaggio reciprocamente scambiato. Il “contenitore” guidato dall’ empatia, peraltro sostenuta dalla scienza, si offre con disponibilità che talvolta sembra anche vacillare nella difficoltà dell’ impresa, ma è determinato a non soccombere e non esclude di ricorrere ad una supervisione quando le difficoltà gli sembrano superiori alle possibilità. Lo riferisce completando l’ immagine di un modello di comportamento lontano da illusioni di onnipotenza o di esibizionismi di bravura. Ne rimane un’ impressione di vitalità nella fatica, di tenacia nella speranza di “venirne a capo”: qualcosa che riporta all’ immagine materna che ricostruisce là dove c’è stata frattura e conduce alla rifioritura dopo che l’ uragano ha spezzato il ramoscello, ma non ha inaridito l’ albero.
Serena Foglia
Scrittrice
Se pensiamo alle persone incontrate nel corso della nostra esistenza, ci si affacciano alla mente quelle care e amate ma anche una sequela di facce intraviste o presenti per un tempo troppo breve, un tempo — o delle circostanze — che non hanno permesso il consolidarsi del ricordo. Questo automatismo selettivo della memoria ha tuttavia una caratteristica negativa, una caratteristica che rassomiglia allo spreco. Ogni essere che ci è passato accanto — non ultimi i personaggi letterari con i quali a volte continuiamo a dialogare per anni — ha avuto e ha un significato che modifica, cristallizza o evolve i misteriosi meccanismi della nostra psiche. Devo a Renzo Rocca e a Giorgio Stendoro l’ emozione — non saprei definirla altrimenti — di aver incontrato Mario, nome fittizio di una persona reale che è stata per lungo tempo paziente dai due psicoterapeuti. Non l’ ho incontrato di persona ma attraverso la straordinaria analisi che Rocca e Stendoro ne hanno dato nel libro “Una psicosi sconfitta”. Il sottotitolo recita: “una presentazione teorica-didattica e terapeutica di un caso di psicosi-paranoide trattato con la tecnica dell’ Immaginario (Rêve-Eveillé)”.
Per i non addetti ai lavori sembra necessario precisare che il Rêve-Eveillé è un metodo terapeutico realizzato da Robert Desoille (1890-1966) che, pur proponendosi come altre terapie di curare le turbe della psiche, esplora quella zona ignota del nostro essere, che si annida nell’ “inconscio”, sollecitando l’ immaginario (la capacità immaginale) della persona che ne è afflitta. Le tecniche del Rêve-Eveillé — le parole stesse lo dicono: sogno in stato di veglia — permettono di indagare gli intimi sconvolgenti processi di chi ha perso il contatto con il proprio Io e persino dubita di averne uno, di ricostruire — come per esempio nei casi di psicosi paranoide — un mondo ridotto a un’ incongruenza caotica. Oltre alla specifica preparazione metodologica, questa terapia richiede all’ analista la capacità, davvero impegnativa, di scegliere e proporre al paziente i Rêves-Eveillés appropriati, di mettere in continua discussione non solo simboli e semantica ma anche se stesso. Le parole hanno qui il significato fondamentale di archetipi e formano un filo rosso, meglio un filo di Arianna, che condurrà il malato fuori dal labirinto. Il libro di Rocca e Stendoro non è soltanto la testimonianza di come uno dei più gravi disordini mentali è stato curato ma anche una preziosa e chiara didattica. Offrire la propria sapienza ed esperienza ai colleghi e studiosi è (dovrebbe essere?) prassi comune e implicita nell’ etica professionale. Rocca e Stendoro lo fanno con una generosità che ha il raro pregio dell’ empatia, di una disponibilità che avvincerà persino il lettore profano.
L’ analista segue il paziente tenendo presente due livelli: quello semantico-proposizionale (sogni e Rêves-Eveillés) e quello della realtà vissuta da Mario al di fuori delle sedute. Come narrata all’ inizio dell’ analisi, la biografia di Mario — un bell’ uomo di trentaquattro anni dal comportamento fiero, vivace, impulsivo, aperto, schietto, ipersensibile che si esprime con un linguaggio colto tuttavia a forte orientamento di grandezza paranoide — non appare particolarmente drammatica, meno di numerose riferiteci dalla cronaca quotidiana. E’ nato in un paese di provincia. La madre è morta dandolo alla luce, il padre amato e ammirato è sempre assente. Il bambino viene affidato ai nonni paterni e a quelli materni: le due nonne sono vissute da Mario come iperprotettive e autoritarie che si contendono il nipote per accaparrarsi il suo affetto. Lui non ha amici e prova un forte senso di solitudine che nell’ adolescenza, quando il padre risposatosi lo porta a vivere con sé in una grande città, diventa così pronunciato da risultare ossessivo. La matrigna cerca di educarlo a suo modo con imposizioni, durezze e punizioni corporali che provocano esasperate ribellioni, desideri di fuga e una strisciante vergogna che lievita e nutre un doloroso, drammatico senso di colpa. Ciononostante il giovane si trasferisce in un’ altra città, vive solo, si laurea in giurisprudenza e lavora per un paio d’ anni nello studio di uno zio avvocato definito come “il concentrato della cattiveria umana”.
Sposa una sua coetanea ma il matrimonio dura pochi mesi. Qui il racconto di Mario esplode nei sintomi di una crisi psicotica: “Il matrimonio è fallito a causa dello stato depressivo e della frigidità di mia moglie… mi sentivo umiliato, abbandonato come marito… E spesso nelle notti in cui non riuscivo a dormire, sentivo e forse vedevo tanti serpenti che mi si attorcigliavano al collo… mi sentivo soffocare… chiedevo aiuto e per liberarmi da quella tortura pensavo… pensavo solo a sparire, come se fossi venuto dal niente e dal niente ritornassi… Non c’è posto per me nella società, cosa faccio qui… non esiste la malattia mentale, ma solo tanta criminalità e pazzia di gelosia… e io non sono né criminale né pazzo… Voglio andare via, non mi interessa la sua compagnia… mi sento sospeso… sospeso nell’ aria…”. A questo punto Mario si alza e fugge dallo studio dell’ analista a una velocità tale che Rocca non riesce a fermarlo. non avendo l’ indirizzo di parenti né di amici, Rocca telefona alla polizia. Mario viene ritrovato dopo quattordici giorni mentre girovaga senza meta in una città del Sud. Viene ricoverato prima in ospedale e poi, per intervento di Rocca, in una clinica privata dove il terapeuta continua a seguirlo.
E’ l’ inizio di una terapia che durerà molti anni alternando molte ombre a rari sprazzi di luce. Mario delira, si dispera, si chiude in mutismi totali, non vede alternativa al suicidio — cosa quest’ ultima già dichiarata durante il primo colloquio — tuttavia a momenti racconta con quasi tranquillità lo svolgersi delle sue giornate, della vita reale che pure riesce a vivere in qualche modo. Desidera e nello stesso tempo rifiuta l’ aiuto — si potrebbe dire “l’ amore” — dell’ analista: fugge e ritorna, si ribella e, a tratti, si abbandona all’ iter del processo terapeutico. Un processo tormentato che pian piano si dipana sull’ onda simbolica dei Rêves-Eveillés, Rêves-Eveillés che Rocca propone e analizza con una profonda sensibilità che va ben oltre la preparazione e l’ abilità professionale. Anche perché Rocca deve far fronte alle emozioni che Mario proietta su di lui e che sono di avida oralità, di eccitata gelosia, di rabbia e aggressività seguite da colpa e ansia disperate. Nel testo sono riferiti un’ ottantina di Rêves-Eveillés, alcuni dei quali di una intensità che va oltre il simbolico e sconfina nella poesia. Per dare un idea dell’ evoluzione della psiche profonda di Mario ne riporterò due: il primo e l’ ultimo che, pur estrapolati dal contesto della lunga, difficile vicenda terapeutica, sembrano altamente significativi. Il primo Rêve-Eveillé, suggerito da Rocca da un breve sogno di Mario, è il seguente:
LA SALA DEL TRONO
– … è una sala bellissima… coperta di specchi, di gemme… ci sono tavole imbandite di frutta esotica… e c’è tanta gente… con tanta luce…colori… siamo tutti lì… vestiti di stoffe colorate, d’ oro… che bella musica che va tra uno Stradivari ad un profondo suono di organo, forse in chiave di violino… ecco, arriva… c’è il Re, giovane e buono… e la regina anziana… che mi vorrebbe guardare con dei binocoli di madreperla..io… N.C. …tutto sparendo nel nulla…eterno, come il Leopardi, al di la di quella siepe… vedo angeli che cantano in una stanza dove non ci sono pareti… io sono una parete e mi difendo da tutte le persone che ce l’ hanno con me… io sono un patriota che fugge dall’ autoritarismo del regno… (in particolare da chi?)… e potrebbero uccidermi giù nell’ acqua del fiume Mississipi… mi butto e con il coltello di spada taglio le radici e mi libero… (da chi?)… dal veleno che ho intrugliato quando ero nella sala del trono, come Amleto… Sì, eccoti, romantico e sfortunato principe, ci siamo in due… ora ci facciamo coraggio, Principe Danese, e nessuno ci farà più del male…
Ed ecco l’ ottantesimo: IL SENTIERO DELLA FORESTA
– Il sentiero è facile e dritto… c’è un grande silenzio – 2 minuti – … mi trovo nel mezzo della foresta… – 1 minuto – rivedo la quercia antica… ma il suo grosso tronco è stato colpito forse dall’ ira di Giove? – Mario sorride – è quasi marcio… dalle sue radici vedo che sta nascendo nuovi bocci… cammino in una galleria di rami ed attraverso un varco mi avvicino a degli enormi sassi che limitavano uno spazio erboso… verde e pieno di fiori… una fanciulla mi conduce… vicino al masso sacro… si ferma e guarda il cielo verso il tramonto… in questa tranquillità niente si muove… 2 minuti – scendo il pendio della montagna… una aquila vola su in alto… ma ora mi viene nascosta dalle chiome folte degli alberi… – 1 minuto – mi siedo su un tronco di un albero… riconosco il posto dove tanto tempo fa avevo sotterrato il fazzoletto bianco con il tulipano… – 2 minuti – metto la mano nella terra e scavo… lo ritrovo… nel vedere l’ involto sento che sto perdendo le paure che avevo… – 1 minuto – lo riguardo… sorrido… lo rimetto lentamente dove lo avevo nascosto… prima di allontanarmi… per sempre… – 1 minuto – faccio un profondo respiro… lo lascio andare… attorno a me c’è… un fiume e un albero nel grande prato verde… al centro una scalinata di marmo bianco le cui estremità sconfinano nell’ infinito… – 1 minuto – sembra sospesa… come verso l’ ignoto… tutto il resto lo intuisco… attorno c’è il sentiero bianco diritto… sono in piedi fermo composto a notevole distanza dalla montagna azzurra… ma vicino alla riva del fiume colore argento… accanto all’ albero isolato c’è la fanciulla con il capo coperto da un lungo velo dorato… sembra uscito da un personaggio di Omero… è in attesa dell’ invisibile… la figura solitaria bianca alla mia destra si volta a guardarmi per tre volte… con uno sguardo sicuro… quindi attraversa parallelamente la scala e mi fa segno con la mano il limite che devo superare… sento la certezza di questo segnale… mi sorprendo… ho delle capacità… sento una forte emozione che mi fa vedere uno stupendo paesaggio di primavera… la mia vita… alzo gli occhi verso il cielo… vedo che avevo pianto…
Ponendo questi due Rêves-Eveillés uno di seguito all’ altro si potrebbe forse privare il lettore del grande interesse suscitato dal seguire la vicenda (di “vicenda” tra due essere umani, anche se in veste di terapeuta e paziente si tratta) passo passo. Mi è sembrato tuttavia che questo “contatto diretto” sia un modo per trasmettere l’ emozione che l’ importante ricerca di Rocca e Stendoro procura a chi voglia addentrarvisi.